Assillante bisogno di selfie? Può diventare patologico, una vera e propria sindrome-dipendenza, con tutte le conseguenze psicologiche e sociali.
Sono stati analizzati 400 soggetti e una prima statistica generale classificandoli in tre categorie di disturbi mentali. Ne parla uno studio della Thiagarajar School of Management di Madurai.
È più vicino alla categoria patologica il narcisista o chi subisce forti condizionamenti sociali, culturali, schiacciato dalla civiltà dell’immagine?
Un nuovo disturbo psicologico: la sindrome da selfie
L’avvento dei social network ha rivoluzionato non solo la società, ma anche la psicologia e la definizione dei disturbi psicologici. Fino a qualche tempo fa, infatti, la dipendenza era da considerarsi solo in termini di addiction da persone, cose o sostanze, con gli associati criteri di tolleranza, astinenza e desiderio persistente.
Nella psichiatria del XXI secolo, invece, le dinamiche complesse delle dipendenze e sindromi in generale, sono andate ben oltre i canoni tradizionali, per abbracciare aspetti anche e soprattutto di tipo narcisistico e sociale. Stiamo parlando, ad esempio, della sindrome-dipendenza da selfie.
Esiste una scarna letteratura sull’argomento, proprio perché la sindrome da selfie, in quanto molto recente, non è stata ancora ben inquadrata dai principali manuali diagnostici, né dal punto di vista sintomatologico né epidemiologico.
Quel che si conosce è che attraverso il selfie emergono alcuni desideri impliciti che spingono il soggetto ad attuare il comportamento dell’autoscatto: il desiderio di incrementare l’autostima, il bisogno di attenzione, la necessità di migliorare il proprio umore, la creazione di nuovi ricordi, l’ambizione a uniformarsi con i gruppi di appartenenza e la partecipazione a competizioni di natura social (Ghidotti, 2017).
Si ha l’idea che nessuno sembra poter resistere alla seduzione di immortalare alcuni momenti, anche quelli apparentemente banali, attraverso un autoscatto che rimetta alla comunità virtuale o a pochi e distinti destinatari la dimostrazione di un determinato momento.
In uno studio della Thiagarajar School of Management di Madurai (Balakrishnan & Griffiths, 2017), questi fattori sottesi al fenomeno del selfie sono stati analizzati in 400 soggetti e classificati in tre categorie di disturbi mentali, in relazione alla frequenza con cui gli scatti venivano effettuati durante la giornata: borderline (almeno tre autoscatti al giorno, senza però condividerli), acuto (tre scatti al giorno condivisi) e cronico (comportamento ossessivo di pubblicazione di selfie).
Dei 400 soggetti analizzati, il 34% di loro è rientrato nella fascia borderline, il 40% in quella acuta e il 25 in quella cronica (Balakrishnan & Griffiths, 2017).
L’importanza dello studio citato è che ci ha dato una prima statistica generale di quale sia la portata psicologica e sociale del fenomeno selfie. In particolare, emerge che un terzo di chi scatta selfie manifesta un comportamento patologico di tipo cronico.
L’ossessivo bisogno di selfie può diventare quindi una vera e propria sindrome-dipendenza, con tutte le conseguenze psicologiche e sociali per la persona, in termini di tolleranza e astinenza. In questo caso, oltre l’elemento della dipendenza, abbiamo anche quello narcisistico, figlio della “civiltà dell’immagine” nella quale viviamo.
Inoltre, il concetto di selfie, riconduce la sociologia ai fatti sociali, più che individuali: a supporto di quest’idea c’è il fatto che essi nascono proprio per essere condivisi, facendo parte di quella categoria denominata “Identity work” da sociologi come Snow e Anderson, ossia quell’insieme di azioni quotidiane fatte per apparire agli altri per come desideriamo essere visti, richiamando uno noto concetto in ambito sociologico, quello di “Vita sociale come rappresentazione” di Erving Goffman.
L’aspetto narcisistico nella sindrome da selfie
Il selfie è qualcosa che richiama l’immagine di sé, in quanto l’immagine del corpo e il desiderio di riconoscersi, dal punto di vista psicologico, evocano il senso dell’identità di un soggetto. Ciò vuol dire che la distorsione tra l’immagine che si ha del proprio corpo e il senso di sé, rischia di procurare un disagio interiore.
La ricerca spasmodica del selfie perfetto, pertanto, si traduce in un’altrettanta ricerca del senso di identità da parte del soggetto che attua il comportamento. Un desiderio di perfezione che, però, sarà irraggiungibile, giacché mostrerà una tolleranza, in termini di dipendenza, sempre più elevata. In altre parole, nessun selfie sarà così perfetto quanto quello che ancora dovrà essere scattato (Biancoli, 2004).
Un po’ come avviene nell’anoressia: la persona s’illude di poter raggiungere la perfezione nel proprio corpo attraverso il dimagrimento. Nonostante un corpo statuario e quasi trasparente, l’anoressica ritroverà nel proprio un corpo comunque imperfetto e grasso, a causa di un disagio che non è esteriore, ma interiore. Di fondo vi è, dunque, una problematica narcisistica cui non si riesce a rimediare (Biancoli, 2004).
La tematica del selfie si presenta abbastanza complessa poiché, come abbiamo visto, oltre all’aspetto della dipendenza e a quello narcisistico, nel selfie si riflette al contempo il peso del condizionamento sociale, la cultura e la civiltà dell’immagine. Per non parlare della storia personale, intesa in termini anamnestici e psicologici, del soggetto che attua quel comportamento.
Il significato psicologico del selfie
Secondo alcuni, oggi più che mai, la fotografia è la metafora del funzionamento dello psichismo umano. Dal punto di vista psicoanalitico, nella fotografia da selfie, ma non solo, si rispecchiano i due meccanismi primitivi fondanti della mente umana: l’identificazione, mediante il quale un individuo costituisce la propria personalità assimilando uno o più tratti di un altro individuo e modellandosi su di essi; la proiezione, il meccanismo speculare all’identificazione che consiste nello spostare sentimenti o caratteristiche proprie su altre cose o persone (Zangrilli, 2014).
L’identificazione e la proiezione sono alla base del desiderio narcisistico che, a sua volta, è alla base del fenomeno da selfie. Possiamo pertanto dire, sotto un’analisi prettamente psicosociale, che il comportamento ossessivo e dipendente da selfie si manifesti come una regressione narcisistica della persona, probabilmente causata dall’enorme pressione percettiva cui la società odierna è sottoposta.
Regressione narcisistica che va alla ricerca del senso di identità perduto. In altre parole, il selfie riproduce in immagine ciò che noi vorremmo essere (che in termini psicoanalitici viene definito Io Ideale) e non ciò che realmente si è (Io Reale).
Nel pubblicare ciò che si vorrebbe essere, e non ciò che si è, si produce nel soggetto una ferita narcisistica, che lui illusoriamente tenterà di risanare con un nuovo selfie, andando a creare un circolo vizioso senza fine.
Il selfie, pertanto, diverrà un rituale rassicuratorio, un tentativo di tutela narcisistica personale, magari con la ricerca di autoscatti sempre più particolari e pericolosi, aventi l’unico intento di dimostrare agli altri che esistiamo. Ritirandoci dal mondo circostante, rivolgeremo l’attenzione soltanto alla nostra immagine, con ovvie conseguenze negative dal punto di vista relazionale (chiusura emotiva, ritiro sociale, carenza di autostima).
Inoltre, il concetto di selfie, riconduce la sociologia ai fatti sociali, più che individuali; a supporto di quest’idea c’è il fatto che essi nascono proprio per essere condivisi, facendo parte di quella categoria denominata “Identity work” da sociologi come Snow e Anderson, ossia quell’insieme di azioni quotidiane fatte per apparire agli altri per come desideriamo essere visti, richiamando uno noto concetto in ambito sociologico (nato dall’idea di Shakespeare), quello di “Vita sociale come rappresentazione” del sociologo canadese Erving Goffman.
Come arginare la dipendenza da selfie?
Per riuscire ad arginare e definire meglio i criteri della dipendenza da selfie servirà anche informare e formare i professionisti della salute sull’effettiva pericolosità del disturbo.
Solo comprendendo a fondo le dinamiche interne dei comportamenti, si potrà offrire ai soggetti interessati l’aiuto necessario. Quest’ultimo potrà prendere avvio dalla famiglia, dalla scuola e, dunque, dai professionisti della salute, che, una volta individuati i criteri patologici, saranno in grado non solo di individuare la sindrome, ma anche di offrire il supporto più indicato al soggetto che ne è interessato.
Bibliografia
– Balakrishnan, J., Griffiths, M. (2017). The psychosocial impact of excessive selfie-taking in young: a brief overview, International Journal of Mental Health and Addiction, 3.
– Biancoli, R. (2004). Civiltà dell’immagine e immagine del corpo, Froom-Online.
– Ghidotti, C. (2017). Dipendenza da selfie: un disturbo mentale?, in www.webnews.it.
– Goffman, E. (1997). La vita quotidiana come rappresentazione. Il Mulino
– Zangrilli, D. (2014). Il narcisismo dell’era digitale: dal fenomeno Ofelia al selfie, in www.psicoanalisi.it.