La depressione postpartum (DPP) è un disturbo che, a diversi livelli di gravità, colpisce le neomamme con un’incidenza nei paesi occidentali del 6-12 % (Grussu & Dal Bello, 2017).
In Italia su 488.000 nascite, almeno 31000 donne soffrono di depressione nel periodo successivo al parto, con conseguenze psicologiche e sociali sia sulla propria salute, che dei figli appena arrivati (Istat, 2015). Già da questi dati emerge l’importanza della prevenzione sociosanitaria della DPP, attuabile attraverso interventi che mirino a ridurne i fattori di rischio.
Introduzione
La depressione postpartum (DPP) è un disturbo che, a diversi livelli di gravità, colpisce le neomamme con un’incidenza nei paesi occidentali del 6-12 % (Grussu & Dal Bello, 2017).
In Italia su 488.000 nascite, almeno 31.000 donne soffrono di depressione nel periodo successivo al parto, con conseguenze psicologiche e sociali sia sulla propria salute, che dei figli appena arrivati (Istat, 2015). Già da questi dati emerge l’importanza della prevenzione sociosanitaria della DPP, attuabile attraverso interventi che mirino a ridurne i fattori di rischio.
Il profilo sintomatico della depressione postpartum
In termini generali, la depressione è una patologia che prevede un considerevole abbassamento del tono dell’umore, concomitante a svariati sintomi psicologici quali, tra gli altri, sentimenti di inadeguatezza, irritabilità, disturbi del sonno, mancanza di interesse, energia e autostima. Qualora si presenti nelle donne entro le prime sei settimane dal parto, si parla di depressione postpartum, o DPP.
La sofferenza postnatale di tipo depressivo assume svariati connotati di natura soprattutto psicosociale, in quanto ai classici sintomi della depressione, si aggiunge pure un complesso rapporto relazione della neomamma con il nascituro.
Per tale motivo, la DPP può avere degli importanti effetti psicosociali negativi, non soltanto per la donna che ne soffre, ma anche per tutta la famiglia in cui ella è inserita, nonché per la salute psicologica del figlio. Il legame relazionale che la donna con DPP, infatti, intrattiene con il proprio figlio, si presenta il più delle volte ricco di sensi di colpa e desideri di fargli male.
Non solo: la DPP porta la donna a non occuparsi del figlio come dovrebbe, a non assolvere i compiti materni che le spetterebbero e ad assumere un atteggiamento negligente sotto ogni punto di vista (Grussu & Dal Bello, 2017).
È indubbio, pertanto, che questa forma di depressione ha delle enormi componenti psicosociali al suo interno, a causa dei fattori relazionali cui è inevitabilmente collegata. Individuarne i fattori di rischio, permetterebbe di attuare interventi preventivi di tipo sociosanitario.
I fattori di rischio e le conseguenze psicosociali
Sembrerebbe che la DPP sia conseguenza di individuati fattori di rischio, come la compresenza di eventi stressanti durante la gravidanza, oppure episodi depressivi prima della nascita del figlio.
Alcune ricerche hanno peraltro evidenziato che determinate componenti socioculturali possono incidere significativamente sull’emergere di tale condizione psicologica, come condizioni di vita particolarmente logoranti, o l’appartenenza a gruppi etnici aventi modelli familiari caratterizzati, ad esempio, da un’età coniugale precoce o promiscuità sessuale (Clare & Yeh, 2012).
Sono stati individuati alcuni elementi predittivi di matrice psicosociale della DPP da Klainin e Arthur (2009). Secondo gli autori, tra le componenti in grado di preventivare l’insorgenza della DPP ritroviamo uno status socioeconomico basso, l’aver avuto una gravidanza non programmata, una limitata soddisfazione coniugale e uno scarso supporto psicosociale.
In riferimento all’Italia, gli aspetti più rilevanti che sembrano incidere sulla dimensione depressiva postnatale, sono soprattutto legati ad aspetti psicologici, relazionali, contestuali e socio-anagrafici (Grussu & Dal Bello, 2017).
Come già accennato, gli elementi sintomatici del caregiver sono un importante fattore di rischio anche per lo sviluppo di disturbi emotivi, sociali e comportamentali nel bambino. Ciò che emerge, infatti, è che la DPP può causare delle modalità relazionali madre-figlio incoerenti e imprevedibili.
La componente relazionale, e psicosociale, della depressione, pertanto, andrà a determinare nel bambino regolazione fisiologica e stabilizzazione emotiva inadeguata. Nel lungo periodo, sarà così probabile lo sviluppo di disturbi comportamentali, problemi della regolazione affettiva, disturbi ansiosi, disorganizzazione emozionale o veri e propri disturbi depressivi (Terrone, 2010).
Gli effetti della depressione sul figlio possono essere dunque importanti e, nel caso del figlicidio, anche deleteri. Il figlicidio è quell’evento brutale per cui una madre, non riuscendo ad accettare il proprio figlio, in preda il più delle volte a sintomatiche depressive, lo uccide.
Il figlicidio, se compresente alla DPP, è causato da un agire omissivo di madri passive e negligenti, nonché dall’incapacità di affrontare adeguatamente la funzione materna, che si sostanzia nel fornire un’alimentazione insufficiente, o nel mancato ricorso a cure mediche (Mastronardi et al., 2012).
Questo gesto ha provocato il grande interesse di psicologi e psichiatri poiché una madre che uccide i propri figli, castiga anche se stessa. Il vissuto psicologico delle madri – Medea è, infatti, denso di emozioni e passioni antitetici.
La moderna psichiatria ha individuato nella Sindrome di Medea nuove sfumature, come la cancellazione della memoria del gesto criminoso, le madri escludono intenzionalmente il proprio intervento delittuoso o la loro presenza, un’auto affermazione d’innocenza ed un atto di protezione verso le proprie vittime.
Se ne evince che saper prevenire i fattori di rischio della DPP sarebbe salvifico sia per la madre che per la famiglia nel suo complesso.
Il punto di vista sanitario: come prevenire la depressione postpartum?
L’analisi dei fattori di rischio sopra riportati permette di attuare diversi interventi preventivi contro la DPP. Uno di questi è senza dubbio la sensibilizzazione sull’argomento. La sensibilizzazione deve riguardare sia le donne in gravidanza, che i medici di medicina generale (medici di famiglia) e tutti coloro che rientrano nella cerchia sociale della donna (Ministero della Salute, 2012).
Per quanto riguarda i medici, essi sono i professionisti più adatti ad assumere il ruolo di “sentinella primaria”, ovvero coloro che primi fra tutti possono identificare eventuali sintomi premonitori di una futura depressione e, quindi, agire di conseguenza in un’ottica preventiva.
L’informazione sanitaria, tuttavia, non dovrebbe tralasciare nemmeno tutti i centri che si occupano in maniera complementare delle donne in dolce attesa, come i centri per la ginnastica pre-parto, ma anche il personale infermieristico ed ostetrico degli ospedali.
La sensibilizzazione coinvolge però anche le stesse donne in gravidanza che, attraverso una serie di incontri con il personale sanitario, dovrebbero approfondire la conoscenza di diversi temi, quali: la gravidanza, il cambiamento, il rapporto con il bambino, saper riconoscere i campanelli d’allarme e cos’è la DPP.
La conoscenza di questi temi e di ciò che accadrà nel corso della gravidanza, diminuisce considerevolmente il rischio di DPP. Tra i comportamenti inconsueti, ad esempio, che dovrebbero spingere una madre (o qualcuno che le è vicino, o il medico di base) a chiedere un supporto psicologico, vi è la scarsa cura personale, sintomi d’ansia o depressivi o una mancanza d’interesse per le cose della vita quotidiana: tutte sintomatologie che, solitamente, in caso di DPP, emergono durante la gravidanza, o immediatamente dopo il parto.
Nelle linee guida del Ministero della Salute (2012) particolare rilevanza deve essere data, inoltre, a uno stile di vita salutare e a una dieta equilibrata durante il periodo della gravidanza.
È solo con la prevenzione in ambito sanitario e psicosociale che si può ridurre l’incidenza della DPP, permettendo così alle donne di ritrovare quella gioia di essere madri che, a volte, per svariati motivi, perdono. Per riuscire in ciò, le donne non devono essere lasciate sole e in questo la sanità deve svolgere un ruolo primario dal punto di vista sia sociale che psicologico.
Bibliografia
Clare, A.C., Yeh, J. (2012). Postpartum depression in special populations: a review, in Obstetrical and Gynecological Survey, 67: 313-323.
Grussu, P., Dal Bello, A. (2017). La ricerca italiana sui fattori di rischio della depressione materna del dopo parto. Contributi sperimentali e ridondanze, in Psicologia della Salute, 2: 44-69.
Istat (2015). Indicatori demografici, in www.istat.it.
Klainin, P., Arthur, D. (2009). Postpartum depression: a literature review, in International Journal of Nursing Studies, 46: 1355-1373.
Mastronardi, V., De Vita, L., Ronchi, F. (2012). Alcune ricerche italiane sul fenomeno del figlicidio, in Supplemento alla Rivista di Psichiatria, 47, 4: 11-16.
Ministero della Salute (2012). Come prevenire la depressione postpartum e sentirsi nuovamente se stesse, in www.salute.gov.it.
Terrone, G. (2010). Influenze della depressione materna sulla qualità del legame madre-figlio. Indagini nel contesto dell’alimentazione, in International Journal of Psychoanalysis and Education, II, 2: 3-33.