La relazione psicosociale tra tifo e violenza è purtroppo una delle più frequenti e conosciute in ambito sportivo. Secondo Simons & Taylor (1992) la violenza all’interno del tifo sportivo, in particolare nel mondo del calcio, può essere definita come l’insieme di quei comportamenti messi in atto a scopo distruttivo o ingiurioso durante un evento sportivo da spettatori di parte, che possono essere causati da fattori personali, sociali, economici o di competizione.
Partendo da questa definizione, possiamo dire che, in ambito psicologico, sono state ipotizzate una serie di motivazioni inerenti le cause di questa stretta e frequente relazione tra tifo e violenza. Capire perché un comportamento del genere si mantiene nel tempo, infatti, permette non solo di comprenderlo sotto un profilo scientifico e conoscitivo, ma anche e soprattutto di prevenirlo da un punto di vista psicosociale.
Come anticipato, il fenomeno della violenza all’interno degli stadi fa rimando a una serie di fattori causali che possono essere trovati all’interno della società, nella cultura di riferimento o nell’appartenenza a un gruppo. In termini psicosociali, il comportamento violento del tifo sportivo è visto come un rituale, o come l’esito di meccanismi inconsci della persona che cerca di manifestare il proprio desiderio di affermazione identitaria, attraverso l’esasperazione della competitività e la differenziazione dagli altri (le tifoserie opposte). Cosa che magari, all’interno della società, non è riuscito a fare per una serie motivazioni e frustrazioni psicologiche che possono essere di tipo familiare, lavorativo o sociale in generale (Maniglio, 2006).
I comportamenti di violenza nel tifo, quindi, sono orientati a uno scopo preciso: quello di autoaffermazione identitaria dell’individuo (Castrelfranchi e Miceli, 2002).
Stiamo parlando di un processo che spinge l’individuo a identificarsi in modo estremo con la propria squadra, probabilmente poiché manca egli stesso di una sua identità psicosociale precostituita. L’identificazione estrema con propri beniamini gli permette così, grazie al supporto indiretto del gruppo di tifosi di cui fa parte, di non sentire questo vuoto interiore, anche a costo di manifestare comportamenti estremi e violenti (Bianco, 2007). Nell’ambito del tifo violento, tale ricerca di autoaffermazione identitaria, assume ancora più senso e sicurezza, poiché la componente intenzionale dell’individuo è “protetta” dallo stesso gruppo di cui fa parte (una precisa tifoseria o gli ultrà), che gli garantisce anonimato e assenza di responsabilità diretta dei propri comportamenti.
La dimensione gruppale nel tifo violento: gli ultrà
All’interno del gruppo si generano dei meccanismi inconsci psicosociali che portano un soggetto ad assumere e giustificare comportamenti che individualmente non compierebbe, poiché non accettati sotto un profilo morale. I fenomeni gruppali, in un certo senso, giustificano la violenza.
Nel nostro caso, il gruppo di tifosi violenti è assimilato spesso agli ultrà.
A differenza dei semplici tifosi, il “modello ultrà” si caratterizza per una continua ricerca di differenziazione e di competizione estrema con le tifoserie concorrenti. Gli ultrà più che alla partita in sé, infatti, sono interessati ai riti e alle pratiche del tifo, con ostilità e freddezza. Il tifo non serve, peraltro, solo per aiutare la propria squadra a vincere, ma anche per intimidire e aggredire la tifoseria avversaria. In ambito sportivo, gli ultrà rappresentano in genere il gruppo di riferimento che consente al singolo soggetto di esprimere con sicurezza la propria autoaffermazione identitaria di cui sopra o, in alcuni casi, la propria rabbia sociale (Balestri & Viganò, 2004).
All’interno di contesti festosi e momenti di aggregazione collettiva come gli stadi, d’altronde, gli individui si liberano dalla propria maschera sociale per identificarsi con gli scopi del gruppo di cui fanno parte. Gli ultrà, essendo caratterizzati da competizione, aggressività e autoaffermazione identitaria, in questa costante ricerca di autoaffermazione personale, finiscono per essere il campo sociale prediletto per manifestazioni inelaborate di rabbia e violenza degli individui (Russo, 2016) southafrica-ed.com.
La prevenzione sociale del tifo violento
Le ragioni sopra esposte, alla base della violenza degli stadi, ammettono il fenomeno gruppale come valore esplicativo nel processo identitario di un individuo socialmente fragile. Di conseguenza, l’oscuramento dell’individualità a favore dell’identità di gruppo, fa riemergere il ruolo della motivazione individuale nel riappropriarsi delle responsabilità frammentate di origine sociale ed etica (Bianco, 2007).
Per la prevenzione sociale del tifo violento, pertanto, più che agire sul fenomeno gruppale in sé, attraverso metodi punitivi o coercitivi che non farebbero altro che inasprire le stesse rabbie sociali portate alla luce dal tifo violento, occorre agire sul singolo individuo. In particolare, identificare le ragioni psicologiche e sociali e alla base della rabbia e intervenire con strategie di riaffermazione dell’identità individuale.
Alcuni parlano, a tal proposito, di “strategie psicosociali dell’esistere” (Bianco, 2007). Ricondurre, in altre parole, la violenza nei binari dell’eticità e della responsabilità, agendo sul singolo individuo e sulle motivazioni inconsce che lo spingono a mettere in atto comportamenti violenti (Bianco, 2007).
Bibliografia
Balestri, C., Viganò, G. (2004). Gli ultrà: origini, storia e sviluppi recenti di un mondo ribelle, Quaderni di Sociologia, 34.
Bianco, F. (2007). Violenza senza limiti: l’onnipotenza di gruppo e la violenza negli stadi, Psychofenia, X, 16.
Castelfranchi, C., Miceli, M. (2002). Architettura della mente: scopi, conoscenze e loro dinamica, Bollati Boringhieri, Torino.
Maniglio, R. (2006). Tifosi e ultras: un modello cognitivo del tifo e della violenza, Cognitivismo Clinico, 3, 1.
Russo, A. (2016). Identità e rappresentazione sociale delle tifoserie/ultras: un’analisi sociologica, Rivista di Criminologia, Vittimologia e Sicurezza, X, 1.
Simons, Y, Taylor, J. (1992). A psychosocial model of fan violence in sports, International Journal of Sport Psychology, 23.