Il bullismo rappresenta oggi un fenomeno piuttosto diffuso tra i minori adolescenti, dagli innumerevoli risvolti psicosociali. Il persecutore mette cioè in atto dei comportamenti denigratori verso la vittima, condizionando la sua vita personale e sociale. Negli ultimi anni il bullismo classicamente inteso è stato di fatto equiparato a quegli atti di prevaricazione che avvengono online. L’attenzione si sposta, cioè, ai social network e a tutti quegli strumenti che permettono la condivisione di spazi virtuali.
Il cyberbullismo viene definito come un atto aggressivo e volontario, provocato da un singolo individuo o da un gruppo di persone, utilizzando gli strumenti digitali per vittimizzare e prevaricare la vittima, la quale non riesce a difendersi come vorrebbe.
Da uno studio del 2018 dell’Istat, è emerso che in Italia almeno la metà dei ragazzi di età compresa tra 11 e 17 anni è vittima di bullismo, con un’escalation dei casi tra gli 11 e i 13 anni. Più in particolare, è emerso che dal 2014 al 2018 poco più del 50 % dei ragazzi (22,5 % dei casi 11-13 anni e 17,9 % tra 14 e 17 anni) ha subito qualche episodio offensivo, non rispettoso o violento, a volte con una frequenza settimanale (nel 9,1 % dei casi). Questi numeri salgono ancora di più se al bullismo tradizionale aggiungiamo la percentuale dei moderni fenomeni di cyberbullismo.
Il bullismo rappresenta oggi un fenomeno piuttosto diffuso tra i minori adolescenti, dagli innumerevoli risvolti psicosociali. Con “bullismo” si intende un’interazione in cui un individuo o un gruppo di individui più dominanti causa intenzionalmente sofferenze a un individuo o un gruppo di individui meno dominanti.
Il persecutore mette cioè in atto dei comportamenti denigratori verso la vittima, condizionando la sua vita personale e sociale. Perché si possa parlare di bullismo (e cyberbullismo) deve però esserci un’intenzionalità da parte del “bullo”, colui che mette in atto gli atteggiamenti violenti, nonché una sistematicità e un’asimmetria nel rapporto tra quest’ultimo e la vittima, colei che invece subisce gli atti prevaricatori fisici o verbali (Lawson, 2001).
Le conseguenze psicosociali del bullismo nella vittima e nel bullo
Nella vittima, gli atti di bullismo hanno delle inevitabili conseguenze sotto il profilo psicosociale. Tralasciando le caratteristiche personologiche di quest’ultima e di come esse possano influenzare il suo divenire “vittima”, possiamo individuare alcune conseguenze del breve e lungo periodo, fra cui paura, scarsa autostima, sensi di colpa e di vergogna per non riuscire a fermare gli attacchi, senso d’impotenza e disperazione, isolamento sociale, stati depressivi, disturbi comportamentali, disturbi del sonno, disturbi alimentari e disturbi somatici (Fedeli, 2007).
Il quadro sintomatologico del bullizzato è, quindi, abbastanza ampio. Esso si riversa anche nella quotidianità del soggetto, ovvero la scuola, la famiglia e le altre aree sociali. Nel contesto scolastico, la vittima evidenzia un peggioramento nelle prestazioni cognitive, nonché difficoltà di concentrazione e comportamenti di evitamento, quali la fuga e l’abbandono scolastico. Tali comportamenti sono mes
si in atto, solitamente, per sfuggire al confronto diretto con il bullo. In merito alla famiglia, invece, il bambino bullizzato può mostrare segni di ulteriore isolamento sociale e vergogna, giacché la vittima cerca sempre di non confessare ai propri genitori le problematiche relazionali di cui sta soffrendo.
Le conseguenze psicosociali, tuttavia, non riguardano soltanto il bullizzato, ma anche colui che mette in atto il bullismo. Il bullo, infatti, è in genere (ma non sempre) un ragazzo la cui famiglia ha svariate e pregresse problematiche sociali, i cui comportamenti possono sfociare in altri atteggiamenti antisociali, come abuso di sostanze, disturbo antisociale di personalità, disturbi dell’umore e svariate problematiche con la giustizia. Anche nel bullo, peraltro, troviamo a livello scolastico deficit cognitivi, dovuti a iperattività, cali di concentrazione o devianze (Fedeli, 2007).
Cyberbullismo: le peculiarità psicosociali
Negli ultimi anni il bullismo classicamente inteso è stato di fatto equiparato a quegli atti di prevaricazione che avvengono online. L’attenzione si sposta, cioè, ai social network e a tutti quegli strumenti che permettono la condivisione di spazi virtuali.
Il cyberbullismo viene definito come un atto aggressivo e volontario, provocato da un singolo individuo o da un gruppo di persone, utilizzando gli strumenti digitali per vittimizzare e prevaricare la vittima, la quale non riesce a difendersi come vorrebbe (Castiglione et al. 2018).
Perché si possa parlare di cyber bullismo, occorrono anche in questo casi i seguenti elementi: ripetizione temporale dei messaggi offensivi, intenzionalità e aggressività da parte del bullo. Rispetto al bullismo tradizionale, però, in quello online ritroviamo un elemento aggiuntivo: l’anonimato da parte del persecutore (Gorini, 2018). Le modalità di offesa possono essere, pertanto, svariate: flaming (commenti volgari), online barassment (messaggi aggressivi), cyberstalkin (perseguitare la vittima con messaggi anche di natura violenta), denigrazione, provocare danni alla reputazione della vittima sotto falso nome (masquerade), rendere pubbliche informazioni personali (outing), escludere la vittima da gruppi online (exclusion), frodare la vittima (trickery). Questi elementi possono emergere per via diretta (messaggistica istantanea) o indiretta (social network) (Vrioni, 2019; Langos, 2012).
Sebbene le conseguenze psicosociali sulla vittima e sul bullo siano simili a quelle del bullismo tradizionale, l’aggiunta della caratteristica tecnologica e dell’anonimato, rendono il cyberbullismo ancora più pericoloso. I bulli online, infatti, possono seguire le proprie vittime 24 ore su 24: la vittima vive nella consapevolezza che chiunque, connettendosi, ad esempio, a un sito, possa riconoscere il suo volto, leggere le denigrazioni che ha ricevuto, contribuire alla diffusione delle sue immagini.
Gli effetti sulla vittima di atteggiamenti bulli, pertanto, possono essere disarmanti, giacché comportano una perdita dei confini spazio-temporali che, invece, sono salvaguardati nel bullismo tradizionale (Gorini, 2018). L’incapacità di difendersi della vittima, pertanto, suscita un dolore profondo che porta a esasperare il ritiro sociale e l’incapacità di confrontarsi o stare con gli altri.
Tra gli esiti psicologici, peraltro, abbiamo pesanti problemi nella vita relazionale, imbarazzo e vergogna, con conseguenti disturbi anche nella sfera emotiva. Nei casi in cui la vergogna sia amplificata, in situazioni estreme il bullizzato può mettere in atto anche condotte autolesive, sviluppare disturbi psicosomatici o tentare il suicidio (Vrioni, 2019; Jouriles, & Sargent, 2017).
Possibili ambiti di intervento: la prevenzione multidisciplinare
Nel nostro ordinamento giuridico non esiste una norma specifica contro il bullismo: il codice penale punisce la condotta lesiva messa in atto dal bullo, ma non riconosce il bullismo di per sé come reato. In ambito giuridico e politico, tuttavia, il dibattito è molto acceso, poiché vi è attualmente una proposta di legge già approvata dalla Camera dei Deputati a Gennaio 2020 e che ora si trova all’esame del Senato, la quale ha come oggetto di discussione proprio il bullismo. Questa legge andrebbe ad affiancare quella già esistente contro il cyberbullismo, la legge 71/2017.
Al di là degli aspetti giuridici, sono anche altri gli ambiti di intervento da attuare per prevenire il fenomeno. La prima prevenzione riguarda la scuola e il ruolo educativo svolto dall’insegnante, giacché la stessa scuola è il primo ambiente in cui i fenomeni di bullismo si manifestano. In questo caso possono essere attuate strategie preventive sull’allievo (di tipo educativo, interpersonale e socio comunicativo) o sul contesto (valorizzazione delle differenze individuali, l’aiuto e il supporto reciproco), dando risalto anche al ruolo dell’insegnante e alle sue capacità di rilevare e prevenire i segnali premonitori che attestino lo svilupparsi del fenomeno (Iannaccese, 2005).
Altro ambito in cui è necessario affrontare il bullismo, è il contesto familiare, in particolare nella capacità dei genitori di notare nel bambino quei campanelli d’allarme che possono far pensare che siamo in presenza di un fenomeno di bullismo, quali: segni d’ansia, regressioni a comportamenti infantili, sintomi fisici, umore depresso, difficoltà di concentrazione o del sonno (Fedeli, 2007).
Un intervento contro il bullismo, per essere efficace, tuttavia, deve prevedere, in ogni caso, una logica multidisciplinare, in cui famiglia, scuola e professionisti sanitari devono tutti assieme collaborare per prevenire sintomi psicosociali negativi futuri sia nel bullo che nella vittima.
Bibliografia
Castilione, A., Coppola, F., Batù, G.A., Palma, S. (2018). Affrontare il cyberbullismo in classe. Comprendere e riconoscere gli effetti collaterali dei social network, Psicologia di Comunità, 67.
Fedeli, D. (2007). Il bullismo: oltre, Verso una scuola prosociale: strategie preventive e di intervento sulla crisi, Vannini, Brescia.
Gorini, A. (2018). Il cyberbullismo: aspetti psicologici e implicazioni pratiche, in M. Orofino, F.G. Pizzetti, Privacy, Minori e Cyberbullismo, Giappichelli, Torino.
Jouriles, E.N., Sargent, K.S. (2017). Cyberbullyng and its relationship to other forms of violence: the risks and dangers of polyvictimization, Joining Forces Joinning Familier, 17.
Langos, C. (2012). Cyberbulling: the challenge to define, cyberpsychology and social networking, Cyberpsychology, Behavior, and Social Networking, 15 (6).
Lawson, S. Il bullismo, Editori Riuniti, Roma.
Vrioni, V. (2019). Adolescenza virtual. L’impatto delle nuove tecnologie sullo sviluppo cognitive e sociale, Youcanprint.